MAGAnomics: L’Antidoto di Trump alla Globalizzazione Fuori Controllo
Anche nel cuore della più potente economia del mondo, l’economia americana, il dibattito economico può rapidamente trasformarsi in un tema securitario. Il celebre slogan “Make America Great Again“, che ha segnato l’ascesa politica di Donald Trump, non si limita a un semplice richiamo patriottico. È una promessa che parla direttamente alla sfera emotiva degli elettori, ma soprattutto al loro portafoglio. Dietro questo slogan si cela una filosofia economica precisa: la MAGAnomics, un piano per rispondere alla percezione di un’economia globale fuori controllo, che avrebbe travolto la vita di milioni di americani, in particolare quelli delle comunità rurali e suburbane, che rappresentano il bacino elettorale più solido dell’ex Presidente.
La strategia economica di Trump, quindi, mira a collegare promesse economiche concrete e allettanti per aziende, investitori e detentori di grandi patrimoni con una narrazione nostalgica che rievoca un passato percepito come economicamente più stabile e rassicurante per la cosiddetta “America profonda”. L’obiettivo esplicito di questa narrazione è quello di riavvolgere il nastro della globalizzazione, un processo che ha sì beneficiato molte persone, ma ha anche lasciato indietro una significativa porzione della popolazione americana. Secondo Trump, la MAGAnomics punta a ridare forza e potere d’acquisto agli americani, grazie a politiche che riducono al minimo l’intervento statale e i costi per cittadini e imprese.
Un’Economia a Misura di Famiglia
Durante un comizio in Arizona, Trump ha riassunto efficacemente la sua visione economica in una frase: “Offriremo tasse basse, meno regolamentazioni, costi energetici ridotti, bassi tassi di interesse e bassa inflazione“. Il messaggio è chiaro: con queste condizioni economiche favorevoli, ogni americano potrà permettersi una vita dignitosa, che include la possibilità di fare la spesa, comprare un’automobile e possedere una casa. Questa retorica parla direttamente alla classe media e bassa americana, che durante le ultime decadi ha visto erodere il proprio potere d’acquisto, e a coloro che sono stati più duramente colpiti dalle trasformazioni imposte dalla globalizzazione e dall’automazione.
Il Ritorno al Protezionismo: Un’America che Protegge Sé Stessa
Il cuore della politica economica di Trump, in questa seconda corsa alla Casa Bianca, è un netto ritorno al protezionismo, una linea già seguita durante il suo primo mandato. La sua visione economica per il 2024, tuttavia, rappresenta una versione ancora più aggressiva di quella già proposta nel 2017. A tal proposito, Trump ha più volte menzionato il McKinley Tariff Act del 1890, una legge proposta dall’allora Presidente William McKinley, che aumentava in modo drastico i dazi su numerosi beni importati. Durante il suo mandato (1897-1901), McKinley portò avanti una politica commerciale fortemente protezionista, utilizzando i dazi come strumento per difendere la manifattura nazionale, garantendo la prosperità del mercato interno. Secondo Trump, tale politica avrebbe reso gli americani più prosperi, e un ritorno a questo tipo di politiche potrebbe avere effetti simili.
In questo contesto, la proposta principale della campagna economica di Trump per il 2024 è una radicale inversione di rotta nella politica commerciale americana. Se durante il suo primo mandato l’obiettivo dichiarato era quello di limitare le pratiche commerciali scorrette di paesi come la Cina e l’Unione Europea, nel 2024 Trump non lascia spazio a compromessi: propone un dazio generalizzato del 10% su tutte le importazioni, che potrebbe arrivare fino al 20% in alcuni settori, e fino al 60% per i beni importati dalla Cina. Alcuni settori, come quello automobilistico, potrebbero subire tariffe del 100%, un drastico intervento che rappresenta una chiara escalation nella guerra commerciale iniziata durante il suo primo mandato. Inoltre, l’ex Presidente ha annunciato che, nel caso in cui alcuni paesi tentassero di abbandonare il dollaro come valuta di riserva, imporrebbe tariffe punitive del 100% sulle loro importazioni.
Tariffe e Impatto Globale
Questa politica, se attuata, potrebbe provocare un terremoto nel commercio globale. Gli Stati Uniti, infatti, non sono nuovi all’imposizione di dazi sulle importazioni, avendo mantenuto tariffe medie vicine al 10% fino agli anni ’70. Tuttavia, un cambio di rotta così radicale avrebbe conseguenze profonde, non solo per l’economia interna americana, ma anche per l’intero sistema economico globale. Una mossa così drastica potrebbe scatenare ritorsioni commerciali da parte di altre nazioni, con il rischio di innescare una guerra commerciale su larga scala che ridisegnerebbe la mappa degli scambi internazionali.
Non va sottovalutato nemmeno l’impatto che un regime di dazi così pesante potrebbe avere sui consumatori americani. Sebbene i dazi abbiano l’obiettivo di proteggere le industrie nazionali, i loro costi si ripercuotono spesso direttamente sui consumatori sotto forma di prezzi più elevati per i prodotti importati. Ciò potrebbe erodere il potere d’acquisto delle famiglie, specialmente per beni di uso quotidiano.
Tagli Fiscali Senza Precedenti: Più Ricchezza per Imprese e Investitori
Oltre ai dazi, il programma economico di Trump si caratterizza per una proposta di taglio delle tasse di proporzioni mai viste prima. Durante la campagna elettorale del 2024, Trump ha progressivamente alzato la posta, promettendo non solo di confermare le agevolazioni fiscali introdotte con il Tax Cuts and Jobs Act del 2017, ma di ampliare ulteriormente i benefici per le imprese, gli investitori e i redditi elevati. Questo provvedimento, adottato durante il suo primo mandato, ha già ridotto significativamente l’aliquota fiscale per le imprese, portandola dal 35% al 21%. Ora Trump propone di abbassarla ancora di più, fino al 15% per le aziende che producono all’interno degli Stati Uniti.
Questa proposta si pone in netto contrasto con il piano economico dei democratici, che punta ad aumentare l’aliquota al 28% per le imprese e per chi guadagna oltre un milione di dollari. Tra le altre differenze, i democratici mirano a introdurre nuove imposte per i più abbienti, in linea con la loro visione di redistribuzione della ricchezza. Trump, invece, con il suo piano, intende confermare tutti gli sgravi fiscali adottati nel 2017, che scadranno nel 2025, e prevede addirittura di eliminare imposte su determinate categorie di reddito, come le mance, gli straordinari e i sussidi.
Un Messaggio di Continuità con il Passato
Il messaggio economico di Trump, dunque, è in perfetta continuità con la tradizione più libertaria del Partito Repubblicano: nessuna nuova tassa, anzi, una riduzione generalizzata delle imposte per incentivare la crescita economica. Le agevolazioni fiscali proposte potrebbero dare una nuova spinta all’economia americana, ampliando gli utili aziendali e rafforzando la fiducia nei mercati. Tuttavia, l’altra faccia della medaglia è rappresentata dai possibili impatti sul bilancio pubblico.
Dove Trovare le Risorse per Sostenere i Tagli Fiscali?
La grande domanda che emerge, quando si esaminano le proposte economiche di Trump, è: da dove verrebbero le risorse per sostenere un taglio delle tasse così massiccio? Secondo diverse stime, l’impatto di queste misure sulle casse dello Stato potrebbe essere devastante. Ad esempio, il Committee for Responsible Federal Budget dell’Università della Pennsylvania ha stimato che, nel caso in cui le promesse di Trump fossero tutte applicate integralmente, i costi per il bilancio federale potrebbero arrivare a sfiorare i 1000 miliardi di dollari all’anno.
Trump ha suggerito che parte di questa spesa potrebbe essere coperta dagli introiti derivanti dai dazi commerciali. Per secoli, infatti, i governi hanno fatto affidamento sui proventi del commercio per finanziare le proprie spese, prima che le imposte dirette sui redditi diventassero lo strumento fiscale principale nel XX secolo. Tuttavia, secondo stime recenti, le tariffe applicate da Trump porterebbero nelle casse statali circa 300 miliardi di dollari, molto meno del necessario per bilanciare i conti pubblici. Inoltre, non è detto che i dazi portino effettivamente a un gettito così elevato, specialmente se le controparti commerciali dovessero reagire riducendo le esportazioni verso gli Stati Uniti o modificando le loro catene di approvvigionamento.
Un altro pilastro della strategia di Trump per ridurre il deficit sarebbe una massiccia riduzione delle spese governative. L’ex Presidente ha promesso di condurre una revisione complessiva delle spese federali, affidando questo compito a un team di esperti capitanati da Elon Musk, con l’obiettivo di individuare e tagliare trilioni di dollari di sprechi pubblici. Tuttavia, la storia mostra che simili tentativi di spending review sono spesso molto più difficili da realizzare di quanto si preveda, e i risultati possono essere piuttosto modesti rispetto alle aspettative iniziali.
La Scommessa di Trump: Stimolare la Crescita per Ridurre il Deficit
Dietro la politica dei tagli fiscali di Trump c’è una scommessa ambiziosa: stimolare la crescita economica in modo tale da generare nuove entrate fiscali e compensare così il deficit creato dalle agevolazioni. L’idea è che, riducendo le imposte sulle imprese e sui redditi elevati, si creino incentivi sufficienti per stimolare un boom di investimenti, innovazione e creazione di posti di lavoro. In questo scenario, la crescita del PIL si tradurrebbe in un aumento delle entrate fiscali, che alla fine controbilancerebbero il calo delle imposte individuali.
Tuttavia, anche i sostenitori più ottimisti della MAGAnomics riconoscono che questa strategia comporta dei rischi. Diversi studi dimostrano che i tagli fiscali, pur essendo efficaci nel breve termine, difficilmente riescono a ripagarsi da soli, specialmente quando sono così ampi.